Un mazzetto dei "Fiori del Male". Potrebbe bastare questa piccola frase riportata sulla prima pagina (e che se ne sta lì, come un avvertimento mellifluo, che in realtà vuole solo indurti a proseguire oltre, che non vede l'ora che tu ceda al suo richiamo), per descrivere in modo conciso ma sicuramente d'effetto, l'essenza spoglia e semplice di questo libricino, sottile come un filo. Questa nuova raccolta di poesie di Baudelaire (uscita nel 2019, per Ponte alle Grazie) è davvero un piccolo mazzetto di margherite, annerite dallo smog di Parigi, quella città affascinante, decadente, ripiegata su se stessa come un giunco, che vive e respira attraverso le voci dei suoi amati poeti, che la raccontano, la insultano, la venerano, come la più generosa e crudele delle dee. E' una piccola frase di una preghiera in latino. Un soffio bollente, che sa di oppio, liquore invecchiato; un soffio che si spande tra le tende di broccato, i tavolini orientali, che si mischia al tanfo di carogna. Uno shot di assenzio che ti lascia in bocca il sapore amaro dell'essenza pura di questo poeta. Ti inebria con il suo retrogusto piccante delle lodi alla sua adorata, la Bellezza (Tu, fata dagli occhi di velluto!), che poi ti impasta la bocca con la Noia, appiccicosa e meschina, bestia ronfante, che riuscirà sempre a scivolare tra le pieghe delle giornate di Charles, impregnandole come il più zuccheroso dei mieli. E poi arriva quella nota stantia della Morte, del Diavolo che tirano i fili della sua esistenza, di ogni suo pensiero, di ogni suo respiro. E, per concludere, vi auguro di trovare quegli occhi di velluto, e di annegarci dentro.
Bea
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